Si dice che Louis XIV abbia affermato nel 1655 “L’État c’est moi”. Oggi Trump e Musk non si identificano con lo Stato, ma con il potere: “We are the Power” Gli “ordini presidenziali”. Il dominio messianico. Come resistere
In breve, ognuno con le sue specificità, è l’espressione paradigmatica del “sistema America”, dei suoi principi fondamentali, valori e obiettivi.
Il sistema America
Per “sistema americano” intendo il sistema creato nel corso del XIX e XX secolo dalle potenti autorità degli Stati Uniti in seguito alla guerra di indipendenza da parte delle prime generazioni di immigrati coloni europei contro le potenze coloniali europee, in particolare Regno Unito, Francia e Spagna. Un sistema che si è sviluppato a partire da una Costituzione liberale e le cui forze motrici sono state forze sociali appassionate soprattutto di libertà, declinata essenzialmente in modo individuale in termini di potere. La giustizia sociale ha sempre svolto un ruolo secondario e subordinato. Il simbolo degli Stati Uniti è la Statua della Libertà a New York, alla foce del fiume Hudson, e non la giustizia. Questo spiega, tra le altre cose, l’irriducibile (e deplorevole) adesione degli statunitensi al porto libero delle armi da fuoco.
L’importanza ineguale attribuita alla libertà rispetto alla giustizia è il primo gene portatore del sistema americano. In particolare, la libertà dei bianchi, dei nuovi colonizzatori bianchi “americani”, soprattutto negli Stati del Sud, il cui benessere economico era strettamente legato allo sfruttamento del cotone, reso possibile da decine di migliaia di schiavi neri, anche dopo l’abolizione della schiavitù. La guerra di secessione vinta dagli Stati abolizionisti dell’Est e del Nord contro gli Stati del Sud anti-abolizionisti fu certamente una grande vittoria della giustizia sociale. Purtroppo, non ha impedito il persistere negli Stati Uniti di forti pregiudizi razziali fino ai giorni nostri, come dimostra l’ampiezza delle concezioni a favore del primatismo (N.D.E.: supremazia) bianco, di cui Donald Trump è l’ultimo adulatore.
Il secondo gene portatore del sistema americano è rappresentato dallo spirito di conquista legato all’imperativo di appropriazione e colonizzazione dei territori occidentali (la famosa “conquista del West”). La conquista è stata realizzata. Al di là dello straordinario sviluppo economico di territori molto vasti, si è tradotta soprattutto in una storia di violenza, in particolare nel mantenimento della schiavitù (e della tratta degli schiavi neri) per soddisfare il bisogno di manodopera a prezzi molto bassi a sostegno dello sviluppo dei nuovi territori, e nello sterminio delle popolazioni indigene (gli “indiani”). Per non parlare dei conflitti armati tra i conquistatori stessi, dei fenomeni di gangsterismo economico generalizzato e della formazione di grandi conglomerati industriali e finanziari che hanno esercitato un dominio predatorio sui nuovi territori.
I due geni hanno avuto un forte impatto sui processi identitari del sistema. A partire dalla fine del XIX secolo, parole come socialismo e comunismo divennero tabù, pericolose. L’America divenne allergica a questi concetti, considerati sinonimi di sovversione, al punto che durante la guerra fredda tra URSS e USA dopo il 1945 furono visti come la fonte di movimenti antiamericani, di attacchi alla nazione, alla sua sicurezza, ai suoi valori, alla “democrazia”.
I principi e gli obiettivi della società capitalista di mercato, al contrario, hanno preso il sopravvento nel corso del XX secolo, conferendo valore e legittimità sociale ai concetti sacri della visione capitalista della vita, ovvero: “interesse”, “utilità”, “mercato”, “competitività”, “redditività del capitale/profitto”, “potenza”. La promozione e la tutela degli «interessi degli Stati Uniti», in particolare quelli economici, sono state affermate e invocate per giustificare qualsiasi politica e decisione del sistema americano e utilizzate in tutte le salse «strategiche» del paese. Gli interessi economici degli Stati Uniti sono stati elevati al rango di imperativi «costituzionali».
Il principale esempio di questa consacrazione è dato dalla decisione autonoma e unilaterale, senza consultazione con altre autorità costituzionali straniere, della Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1980, con la quale ha autorizzato un’azienda statunitense, la General Electric, a brevettare privatamente e a scopo di lucro un organismo vivente, una molecola. Tra i motivi della sua decisione, contraria ai principi e ai valori umani fondamentali accettati in tutto il mondo, la Corte ha sostenuto che i grandi progressi scientifici e tecnologici rivoluzionari in corso avrebbero modificato radicalmente lo sviluppo economico dei Pmaesi più avanzati, il che avrebbe potuto avere importanti conseguenze sull’economia degli Stati Uniti. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto suo dovere proteggere e garantire gli interessi degli Stati Uniti, fornendo loro uno strumento (i brevetti) per difendere le posizioni acquisite nel campo scientifico e tecnologico. La Corte ha così posto gli interessi degli Stati Uniti al di sopra di ogni principio etico. E, di fatto, anche se da anni la potenza e la supremazia degli Stati Uniti nel mondo dell’alta tecnologia sono state messe in discussione, soprattutto dalla Cina, esse rimangono importanti grazie, in particolare, alla brevettabilità capitalista del vivente e, più recentemente, dell’Intelligenza Artificiale.
Va notato che, all’epoca della decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti, quando si faceva riferimento agli “interessi degli Stati Uniti”, si sapeva bene che ci si riferiva soprattutto agli interessi dei grandi gruppi privati tecnologici, industriali e finanziari, come i conglomerati agrochimici e farmaceutici, energetici e minerari, le nuove imprese del mondo informatico e delle telecomunicazioni, le industrie militari.
Come 50 anni fa, il “popolo” non ha alcun peso nella definizione degli interessi degli Stati Uniti, ed è ancora peggio di fronte a Microsoft, Google, Nvidia, Amazon, Merck, Pfizer, Syngenta, Black Rock…! La maggior parte di questi gruppi figura nell’elenco delle 30 aziende più importanti al mondo in termini di capitalizzazione di mercato, l’indicatore utilizzato oggi per definire l’importanza e la potenza delle aziende globali. Nel 2024, 9 delle prime 10 e 17 delle prime 20 sono statunitensi. Le tre aziende non statunitensi sono: 1 saudita (un gigante petrolifero), 1 francese (il gigante mondiale del lusso) e la terza è sudcoreana, https://www.linxea.com/actualites/marches/quelles-sont-les-plus-grosses-capitalisations-boursieres-en-2024/
In altre parole, la Corte Suprema ha messo gli interessi delle grandi aziende private al di sopra dei principi etici. Negli Stati Uniti, il potere politico effettivo di stabilire i principi e le priorità strategiche del Paese non appartiene più, da tempo, ai membri eletti del Congresso, ma ai principali gruppi oligarchici. L’ingresso di 13 miliardari nella composizione dell’amministrazione Trump 2 non è un fatto folcloristico, puramente simbolico. Esso consacra in modo eclatante un cambiamento importante maturato negli ultimi decenni all’interno del sistema americano, ovvero la privatizzazione dello Stato. Del resto, è molto significativo che l’alleanza tra Trump e Musk, l’uomo più ricco del mondo, si intrecci attorno al compito assunto da Musk come “ministro di Trump”, la riduzione o addirittura l’abbattimento del ruolo politico dello Stato.
Ancora una volta, il sistema americano si afferma come il sistema dominante nella realizzazione del modello di società capitalistica di mercato. I suoi “signori” possono affermare “il potere siamo noi”.
“Il mondo è nostro”
Gli innumerevoli ordini presidenziali firmati da Trump nelle quattro settimane successive al suo insediamento non sono il frutto di improvvisazioni, eccentricità, comportamenti teatrali. Sono atti deliberati di un programma di cambiamento “Make America Greater Again” voluto in linea, e non in controtendenza, con il sistema americano. Con l’obiettivo di rafforzarlo e liberarlo dai freni, ostacoli e limiti imposti dallo Stato e dai “democratici”. Hanno valore di legge e sono di immediata applicazione senza alcuna necessità di convalida da parte del Congresso. E, nonostante questo, si parla di democrazia!
Le offerte pubbliche di acquisto (OPA) ostili, come le proposte di Trump di annessione/appropriazione di Groenlandia, Canale di Panama e, più vagamente, Messico e Canada, nonché la sottomissione coloniale di Ucraina e Gaza agli Stati Uniti come condizione per fermare la guerra in Ucraina e Palestina, obbediscono alle “logiche” espansionistiche imperialiste. Le OPA sono un metodo ampiamente praticato nell’economia capitalista di mercato come strumento adottato dalle grandi aziende quotate in borsa per crescere in ricchezza e potenza. Non sorprende che un imprenditore miliardario come Trump, abituato a questo tipo di operazioni, utilizzi questi strumenti nella gestione di uno Stato, di un Paese come gli Stati Uniti. Ciò conferma il fatto che il sistema americano ritiene che uno Stato debba essere gestito come una grande impresa e che i principi che governano le relazioni tra Stati e popoli debbano essere guidati da logiche basate sulla difesa e la promozione degli interessi propri di ogni Paese in competizione/rivalità permanente. Berlusconi è stato il primo, in Occidente, ad applicare questa concezione. È proprio questa la logica che Trump ha appena seguito nel suo piano di soluzione alla guerra in Ucraina, guidata direttamente dagli Stati Uniti e dalla Russia – i più forti – al di sopra dell’Ucraina e dell’Europa, confermando, allo stesso tempo, che gli Stati Uniti (sotto la copertura della NATO) sono direttamente responsabili della guerra “ucraina” tra Stati Uniti e Russia.
L’interesse degli Stati Uniti sotto Trump 2 è quello di sbarazzarsi della guerra, vincendo. A tal fine, Trump fa importanti concessioni territoriali alla Russia che, grazie a ciò, è portata ad accettare perché anche lei ha interesse a porre fine alla guerra. In cambio, Putin lascia le mani libere agli Stati Uniti sull’Ucraina. All’Ucraina, attore più debole, viene offerto un piano economico a lungo termine da 500 miliardi di dollari. Apparentemente con l’obiettivo di consentire all’Ucraina di uscire dal conflitto in modo economicamente “sostenuto” e rassicurante. In realtà, questo piano riduce l’Ucraina a una colonia degli Stati Uniti che, tra le altre cose, prende il controllo dello sfruttamento delle importanti riserve di “terre rare” del Paese. La proposta di Trump costituisce effettivamente una tipica spartizione coloniale dell’Ucraina. Per quanto riguarda l’Europa, dopo aver ricevuto un sonoro schiaffo per essere stata esclusa da Trump e Putin, per il momento, dai colloqui di pace, rischia di dover pagare le pesanti spese della guerra. Peggio ancora, ne esce divisa, indebolita, capace di pensare non alla pace ma solo alla guerra: allocare 800 miliardi di euro per farla continuare ed al proprio riarmo. Una follia suicida. Per quale ragione e con quali obiettvi continuare a far morire migliaia di soldati e di civili, a distruggere l’Ucraina e ad alimentare l’odio tra Russi ed europei? Dove sono andati a finire i valori cristiani alla base dell’Unione europea? Ci sono mai stati? I nostri dirigenti attuali sono malfattori ipocriti e cinici.
L’interesse per la Groenlandia si manifestò dopo l’acquisizione dell’Alaska dalla Russia nel 1867, quando la “conquista dell’Ovest” aveva portato il numero dei membri degli Stati Uniti da 13 nel 1790 a 34 nel 1861.
La prima offerta ufficiale di annessione della Groenlandia da parte degli Stati Uniti fu fatta nel 1910 in cambio di territori situati nelle Filippine! Una nuova offerta fu fatta nel 1946 dal presidente democratico Harry Truman in cambio di 100 milioni di euro. Questa offerta seguì all’installazione di una base militare statunitense a nord dell’isola durante la seconda guerra mondiale. Le proposte furono respinte.
Oggi l’interesse espansionistico verso la Groenlandia da parte degli Stati Uniti di Trump, prima potenza economica e militare mondiale, è molto maggiore per ovvie ragioni strategiche: presenza di importanti risorse minerarie (terre rare) il cui potenziale sfruttamento è reso possibile dal riscaldamento globale; apertura di nuove rotte commerciali marittime, anch’esse conseguenza del riscaldamento globale; imperativo di non lasciare che la Groenlandia passi sotto il controllo della Russia o dell’Unione Europea (in particolare della Germania…), convinzione che, prima o poi – visto che il piccolo Stato della Danimarca non possiede la forza finanziaria e tecnologica necessaria per investire nelle infrastrutture indispensabili per la valorizzazione delle immense risorse dell’isola -, la maggioranza dei groenlandesi sarà attratta dalle grandi opportunità di arricchimento che una valorizzazione realistica della loro isola da parte degli Stati Uniti sembra promettere.
Le elezioni generali in Groenlandia si terranno nel 2027 ed è probabile che la parte indipendentista ne uscirà vincitrice. Per ora, la maggioranza dei groenlandesi afferma che “la Groenlandia non è in vendita”. Trump e gli altri 12 miliardari della sua amministrazione sembrano convinti che cambieranno sotto l’attrazione “irresistibile” del denaro. Cosa farà Trump in caso contrario? L’invasione militare?
Il caso di Panama è anche all’ordine del giorno permanente degli Stati Uniti. Questi non hanno mai abbandonato l’idea di rivendicare i “loro diritti” di controllo del Canale e di incassare una parte significativa dei profitti di sfruttamento. Questo, nonostante la firma nel 1979 di un nuovo trattato tra i due Stati che modifica quello del 1905. Il nuovo trattato, firmato sotto l’amministrazione Carter (l’unico presidente degli Stati Uniti che ha cercato di non praticare la logica imperialista coloniale del suo Paese), stabiliva che a partire dal 31 dicembre 1999 Panama avrebbe assunto il controllo totale delle operazioni del canale e sarebbe diventata responsabile della sua difesa. Un trattato mal digerito dalle potenti forze economiche e finanziarie degli Stati Uniti. Così, nel dicembre 2024, Trump accusa Panama di imporre tariffe di passaggio troppo elevate anche alle navi americane e, soprattutto, di lasciare che la Cina accresca il suo influsso economico nel Paese, cosa che considera, in linea con la Dottrina Monroe, una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti. Da allora, ha annunciato la sua intenzione di riprendere il controllo del Canale con le buone o, se necessario, con le cattive.
Stesso approccio nei confronti del Messico. Nei suoi propositi espansionistici, Trump non dimentica che la guerra tra Stati Uniti e Messico (1846-1848), scatenata in seguito al voto del Congresso americano del 1845 che autorizzava l’annessione del Texas, si concluse con una schiacciante vittoria. Con il trattato di Guadalupe Hidalgo firmato il 2 febbraio 1848, il Messico cedette agli Stati Uniti, in un colpo solo, un territorio molto vasto, 7 Stati: Texas, California, Utah, Nevada, Colorado, Wyoming, Nuovo Messico e metà del territorio dell’Arizona, per 15 milioni di dollari dell’epoca, pari a circa più di 1 miliardo e mezzo di dollari nel 2020.
In tutti i casi considerati, la Dottrina Monroe (1823) ha svolto un ruolo determinante.
Alle radici di “Il mondo è nostro”
Alle radici della forte cultura imperialista espansionistica degli Stati Uniti troviamo quattro fattori principali:
- La Dottrina Monroe, 1823, e il Corollario Roosevelt, 1904 (“America is Ours”).
- Il credo messianico (“The Manifest Destiny”) a partire dagli anni 1840, rafforzato nel 1917 da Woodrow Wilson.
- L’assioma della sovranità (“We are the power”) a cavallo del XX secolo.
- Il nuovo paradigma della sicurezza (“Economy Rule”) negli anni ’80.
La Dottrina Monroe (“America is Ours”)
Nel suo discorso alla nazione del 1823, James Monroe, 5° presidente degli Stati Uniti, formulò quella che divenne la “Dottrina Monroe” nei seguenti termini: gli Stati Uniti non perseguono più la politica di colonizzazione del continente; qualsiasi intervento europeo negli affari delle Americhe sarà percepito come una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti (“America is ours”); gli Stati Uniti non interverranno negli affari europei.
Purtroppo, di questa formulazione piuttosto aperta e neutrale, rimarrà presto solo l’affermazione che qualsiasi intervento “straniero” negli affari delle Americhe sarà considerato un attacco alla sicurezza degli Stati Uniti. Come accennato, già nel 1845 il Congresso decise l’annessione del Texas e conosciamo i risultati. La guerra americano-messicana, condotta con forza dal presidente democratico Polk, permise di ampliare il territorio degli Stati Uniti con 7 nuovi Stati più metà dell’Arizona, che facevano parte della Repubblica del Messico nata nel 1824 dall’indipendenza strappata alla Spagna dalle colonie spagnole. Nel dicembre del 1845, lo stesso Polk annunciò al Congresso degli Stati Unii che la Dottrina Monroe doveva essere applicata senza concessioni e che gli Stati Uniti dovevano espandersi verso ovest e raggiungere la costa del Pacifico. È proprio a partire da questa grande annessione territoriale che si è iniziato a parlare di imperialismo americano!
A proposito, il presidente Polk era un fervente sostenitore del credo messianico “The Manifest Destiny” https://www.axl.cefan.ulaval.ca/amnord/usa_6-4histoire.htm
Il credo di “The Manifest Destiny”
L’espressione Manifest Destiny fu usata per la prima volta nel 1845 da un giornalista di New York, John O’Sullivan, che esortò gli Stati Uniti ad annettere il Texas perché, secondo lui, la colonizzazione del continente nordamericano da parte degli anglosassoni della costa orientale era inevitabile per volontà divina. A lui si deve la frase: “È il nostro destino manifesto espanderci nel continente affidatoci dalla Provvidenza per la libera crescita della nostra crescente moltitudine”. Questa frase non è mai stata messa in discussione da nessun presidente. I leader statunitensi credono che gli Stati Uniti siano investiti da Dio di una missione da compiere, ovvero l’appropriazione del mondo per instaurarvi e difendervi l’ordine della libertà e dei principi che sono alla base della Costituzione degli Stati Uniti e del loro sviluppo. Il credo messianico nel Destino manifesto ha fatto credere che gli statunitensi siano i migliori e che il loro ordine delle cose costituisca il miglior sistema per il mondo, per la libertà, il benessere, la pace. È così che il presidente Woodrow Wilson (anche lui democratico) ha affermato: “Credo che Dio abbia presieduto alla nascita di questa nazione e che siamo stati scelti per mostrare la via alle nazioni del mondo nel loro cammino verso la libertà”. E nel 1917 affermò: “Dobbiamo rendere il mondo più sicuro per la democrazia. La sua pace deve essere fondata sulle solide fondamenta della libertà politica. Non abbiamo obiettivi egoistici da perseguire. Non desideriamo alcuna conquista, alcuna dominazione”. (Discorso al Congresso in cui si chiede una dichiarazione di guerra alla Germania). https://www.thucydide.com/realisations/comprendre/usa/usa2.htmn. Si tratta di un articolo sulle contraddizioni tra l’idealismo della libertà, l’eccezionalismo americano e l’espansionismo imperialista degli Stati Uniti.
I leader statunitensi vivono ancora oggi in una sorta di mistica dell’espansione, Trump e Musk compresi. La mistica della conquista di Marte di Musk rappresenta una delle espressioni più pericolose del Destino manifesto. Non solo ha legittimato negli ultimi anni la privatizzazione dello spazio da parte delle grandi aziende statunitensi interessate con l’incoraggiamento e il sostegno dello Stato, ma ha aperto la strada all’esplosione della guerra planetaria per la conquista imperiale (economico-militare) dello spazio tra USA, Cina, Russia, Europa e presto India, all’era di una rivoluzione tecnologica (IA) in un contesto mondiale deregolamentato a causa delle logiche belliche dominanti.
La minaccia è considerevole perché nella mistica non c’è più, di norma, spazio per la “ragione”. Lo abbiamo visto drammaticamente nel caso del nazismo. Lo vediamo oggi nel messianismo sionista della Terra Promessa. Ogni messianismo che raggiunge lo stadio di poter tradursi in possibili costruzioni politiche, sociali ed economiche concrete è necessariamente totalitario, esclusivo, e per esistere è obbligato a respingere, espellere, eliminare l’altro. La soluzione proposta da Trump per il cessate il fuoco e il raggiungimento della pace tra Israele e Palestina è tipicamente colonial-razzista. Propone di: «ripulire» Gaza dai palestinesi deportandoli in Egitto e Giordania e affidare la «ricostruzione» di Gaza agli Stati Uniti secondo un piano incentrato sulla valorizzazione turistica di «alto livello internazionale», alla Montecarlo, della Striscia di Gaza per i ricchi israeliani e arabi dei Paesi del Golfo. Il piano è già in fase di definizione da parte di un consorzio internazionale di società immobiliari e finanziarie, anche saudite, il cui leader è un’azienda di proprietà del genero di Trump! L’arrogante cinismo del colonizzatore dominante che crede di poter fare tutto con il denaro non ha limiti verso nessuno. Vedi https://pour.press/les-dominants-ne-respectent-plus-aucune-limite; e anche https://www.lautjournal.info/20241024/les-dominants-ne-respectent-plus-aucune-limite/
Negli Stati Uniti, la cui crescita di potere economico e politico sulla scena internazionale sembra confermare la legittimità del Destino manifesto, quest’ultimo ha generato altre due credenze con conseguenze altrettanto nefaste. Penso alle questioni della sovranità e della sicurezza.
Il Destino manifesto è forse l’ingrediente chiave della storia degli Stati Uniti che illustra in modo eclatante le contraddizioni intrinseche al sistema America, che lo rendono un sistema molto pericoloso. Forgiato, come già sopra indicato, dall’intreccio tra idealismo libertario, eccezionalismo ed espansionismo imperialista, il sistema America, 250 anni dopo la sua formazione, ha prodotto la più grande potenza militare mondiale in azione.
Nel 2023 gli Stati Uniti rappresentano ancora circa il 40% della spesa militare mondiale (916 miliardi di dollari su un totale mondiale di 2.443 miliardi!), superando l’importo complessivo speso dagli altri 9 paesi in cima alla classifica (Cina, Russia, India, Arabia Saudita, Regno Unito, Germania, Ucraina, Francia, Giappone). https://www.sipri.org/sites/default/files/MILEX%20Press%20Release%20FRE_0.pdf
Inoltre, il sistema americano possiede 750 basi militari al di fuori degli Stati Uniti, in tutti i continenti del mondo (più di 100 Paesi). Non sono lì per coltivare fiori, ma per sganciare bombe, carri armati, aerei, missili, droni e navi, dotati delle armi più potenti al mondo per la “difesa”, in qualsiasi momento, degli interessi strategici del sistema America (potenza economica, sistema capitalista di mercato e mantenimento dell’ordine mondiale sotto la supremazia militare degli Stati Uniti). La Russia ha 20 basi militari, la maggior parte delle quali si trova negli ex Stati membri dell’URSS, la Cina ha una sola base all’estero, a Gibuti. https://quincyinst.org/research/drawdown-improving-u-s-and-global-security-through-military-base-closures-abroad/#
L’assioma della sovranità. “We are the power”
Potente, dominante, ritenendosi il principale responsabile della difesa e della promozione del capitalismo liberale e della “democrazia” nel mondo, il “sistema America” ha sviluppato la convinzione, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, che per compiere la sua missione dovesse garantire e difendere la sua sovranità. Ciò, tanto più che se la sua supremazia economica era riconosciuta da tutti, la sua supremazia militare e politica era stata messa in discussione dall’URSS, che per di più era un Paese comunista, quindi un feroce nemico dell’economia capitalista di libero mercato (!?).
Pertanto, non si opposero, anzi favorirono la creazione dell’ONU nel 1945 e l’adozione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nel 1948, a condizione che tutte le decisioni, i programmi e le azioni dell’ONU non fossero contrari alle politiche e agli interessi degli Stati Uniti.
Si sono invece opposti a qualsiasi organizzazione internazionale basata sul principio “un Paese, un voto”. Il funzionamento dell’ONU prevede un potere decisionale centrale, il Consiglio di Sicurezza, composto da 5 membri (i più potenti Stati vincitori della Seconda guerra mondiale), ognuno dei quali ha un diritto di veto che può bloccare qualsiasi decisione dell’ONU. Inoltre, tutte le altre organizzazioni internazionali di cui sono membri si basano su un sistema decisionale ineguale fondato sulla ponderazione dei voti (vedi Banca mondiale, FMI, OMC…). In ogni caso, il sistema di regolamentazione internazionale che privilegiano è quello multipolare selettivo tra i potenti. Esempio: i gruppi G7, G8, G20, i vertici mondiali ad hoc… insomma, ciò che hanno chiamato “governance globale”.
Il principio che hanno difeso è duplice: non esiste un’autorità internazionale superiore alla sovranità degli Stati Uniti. Il diritto internazionale deve essere stabilito secondo l’approccio cosiddetto contrattuale e volontario. Da qui il loro rifiuto di riconoscere la legittimità della Corte penale internazionale (CPI), che ha permesso loro di continuare a rimanere complici del genocidio dei palestinesi da parte dello Stato di Israele e di non prestare alcuna attenzione alle accuse/condanne per crimini di guerra contro l’umanità perpetrati negli ultimi decenni dai loro interventi militari in America Latina, Asia, Medio Oriente.
Conseguenza: negli ultimi 80 anni, gli Stati Uniti si sono rifiutati di firmare più di 50 trattati di grande importanza per la comunità internazionale, perché li consideravano contrari ai loro interessi e limitativi della loro sovranità. Non hanno partecipato ufficialmente alle numerose COP (Conferences of Parties) dell’ONU sul cambiamento climatico, la biodiversità, la deforestazione, la desertificazione perché, in tutti questi settori, vogliono adottare solo soluzioni dettate dai principi e dai meccanismi dell’economia di mercato, come il mercato delle emissioni di CO2 (‘i crediti carbonio”) i finanziamenti PPP, i fondi di agevolazioni finanziarie ambientali. Soluzioni che consentono alle loro industrie agroalimentari, energetiche, minerarie, farmaceutiche, informatiche, commerciali… di controllare i mercati grazie alla loro potenza e al sostegno politico del loro Stato, a dispetto di qualsiasi dichiarazione blabla a favore del sacrosanto liberalismo. Un credo presto sacrificato sull’altare della loro sicurezza. E un senatore repubblicano del Congresso americano ha appena proposto, questi giorni, il ritiro totale degli Stati Uniti dall’ONU. Gli Stati Uniti si sono già ritirati dall’UNESCO e dall’OMS.
Il nuovo paradigma della sicurezza (“Economy Rule”)
Negli anni ’80, sotto la presidenza Clinton, si è verificato un cambiamento importante nella concezione della strategia USA della politica mondiale in materia di sicurezza. In passato, la sicurezza di un Paese era definita in base a criteri militari. Questi determinavano le priorità tecnologiche, economiche e finanziarie. Sotto Clinton, vista l’importanza determinante acquisita dalle nuove tecnologie, in particolare bio-tech e info-tech, nell’economia e nella vita in generale, il governo americano ha ridefinito le linee generali della sua strategia politica mondiale partendo dal postulato che la sicurezza tecnologica detta gli imperativi economici che, a loro volta, determinano la sicurezza militare.
Un esempio illuminante: il sistema americano ha messo la Cina, fin dagli anni ’80, al primo posto come minaccia strategica contro gli Stati Uniti, declassando la Russia, non a causa del conflitto con la Cina relativo alla Cina di Formosa o dell’opposizione tra capitalismo e comunismo (che non esiste più), ma a causa della crescita tecnologica ed economica della Cina. L’URSS aveva messo in discussione la supremazia militare statunitense. Per gli Stati Uniti, il peccato di Pechino è ancora più grave. Per la prima volta nella loro storia, gli Stati Uniti sono messi in discussione a livello di supremazia economica e tecnologica, sia a livello fattuale che, soprattutto, ideologico e simbolico. Il salto compiuto dall’amministrazione Biden nel 2018, lanciando la guerra tecnologica contro la Cina nel campo dei semiconduttori, di grande importanza per l’Intelligenza Artificiale, è rivelatore dei cambiamenti in atto nei rapporti di forza tra le “potenze mondiali”.
E questo non promette nulla di rassicurante. Il sistema America è fermamente deciso a mantenere la sua supremazia ad ogni costo anche se i problemi di competitività e di controllo dei mercati possono essere risolti pacificamente attraverso la cooperazione e gli accordi commerciali “win win”.
Attualmente, la sicurezza globale di tutti gli abitanti della Terra e della vita del nostro pianeta non conta molto rispetto al Destino manifesto e alla mistica della conquista aggiornata e rafforzata dal nuovo tandem Trump-Musk, per la gloria del dollaro che, dal 1938, proclana in tutte le sue monete e in tutti i suoi biglietti “In God We Trust” , diventato nel 1956 uno dei motti “nazionali”. Attenzione, quindi, a coloro che oserebbero schierarsi dalla parte della de-dollarizzazione dell’economia mondiale. La punizione subita dai popoli iracheno e libico, tra gli altri, i cui leader avevano manifestato l’intenzione di de-dollarizzare le transazioni sul petrolio, è lì per scoraggiare ogni nuovo “avventuriero” dal provarci! Sarà perseguitato come lo sono diventati i cosiddetti immigrati “illegali” negli Stati Uniti e in Europa (secondo me, nessuno è illegale o clandestino sulla nostra Terra). Un muro enorme li getterà e li manterrà “fuori” … dal mondo: un muro così insormontabile e vergognoso come il muro costruito dagli Stati Uniti lungo tutto il confine tra gli Stati Uniti e il Messico, dall’Atlantico al Pacifico.
Il muro della grande vergogna della prima potenza mondiale
I messicani lo chiamano “il muro della grande vergogna”. Secondo i leader statunitensi, è la “barriera di confine” contro l’immigrazione illegale e il traffico di droga. La sua costruzione è iniziata nel 2006 sotto la presidenza di George W. Bush. Quando sarà completato, in linea di principio sotto Trump 2, la sua lunghezza raggiungerà i 3.141 km (100 km in più della distanza tra Roma e Mosca!). Trump 1 aveva già fatto avanzare la sua costruzione di 701 km.
Le discussioni a favore o contro il muro, il suo significato, la sua efficacia, i suoi costi rimangono accese. Al di là delle divergenze, è evidente che il messaggio della sua costruzione è preoccupante dal punto di vista umano, sociale e politico: gli Stati Uniti (governo e maggioranza dei cittadini) pensano di risolvere la loro incapacità e il loro fallimento nel promuovere relazioni pacifiche con i popoli del Paese di fronte dicendo loro non solo ” statevene fuori, non vogliamo che veniate da noi”, ma anche ‘non vogliamo che quelli che sono da noi, anche da anni, rimangano lì’, ‘vi espelliamo, circa 11 milioni’.
Si tratta di una vergognosa negazione del diritto universale di emigrare attraverso leggi contrarie alla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU. È la negazione dell’esistenza di una comunità umana al di sopra e al di là delle divisioni/esclusioni dei confini statali. È la fede nel potere assoluto dei più forti di gettare alle ortiche il diritto internazionale. È una dichiarazione di guerra all’umanità.
La liberazione
Dobbiamo interrogarci. Può l’umanità accettare la sepoltura dei diritti universali in nome della supremazia dei più forti, del loro “spirito” di conquista e della loro pretesa di dominio? E, poiché la risposta non può che essere negativa, cosa si può e si deve fare?
È evidente che la risposta non può venire da una persona, da un gruppo di cittadini, da una città, da un popolo… da soli. Per diventare reale e solida, la liberazione deve essere un processo di volontà e di mobilitazione su scala planetaria che intervenga in tutti i luoghi “critici” del sistema America come condanna e rifiuto integrale dei suoi principi, obiettivi e azioni. L’obiettivo di fondo deve essere la liberazione dei gruppi umani, delle comunità umane, senza acqua potabile e servizi igienici, senza assistenza sanitaria, senza cibo, senza alloggio. Bisogna sradicare le disuguaglianze, prima di tutto sradicare la disuguaglianza nella testa dei dominanti, a partire dalla testa delle centinaia di migliaia di Trump e Musk che nel mondo credono che la disuguaglianza sia un fenomeno naturale e inevitabile, mentre è una costruzione sociale e, quindi, modificabile. Le OPA predatorie di Trump possono essere impedite e abolite.
La prima forma di liberazione risiede nella resistenza forte, solida e collettiva. Non una resistenza mirata alla resilienza, ispirata esclusivamente da obiettivi di mitigazione e adattamento, ma una resistenza mirata al cambiamento, all’inversione delle cause, cioè all’inversione dell’ordine dominante e alla costruzione di forme di società (comunità di vita) alternative. La resistenza per la resilienza è una trappola dei dominanti. La liberazione implica una mobilitazione molecolare planetaria. La “molecola” centrale della vita è la comunità umana indissolubilmente legata alle altre comunità. Non c’è salvezza nella rivoluzione molecolare individuale. La comunità globale della vita sulla Terra è lo spazio vitale di riferimento.
11 marzo 2025
Nessun interesse o scopo esclusivo può essere portatore di una società umana consapevole e responsabile, i cui fondamenti indispensabili ed essenziali sono la condivisione, la reciprocità e la solidarietà. Il sistema America si basa ed è spinto da due obiettivi: la continua crescita del benessere materiale e finanziario e il dominio. Anche gli obiettivi della liberazione sono due: giustizia e pace. Da qui la necessità e l’urgenza di dare vita ovunque a Comitati di resistenza e liberazione per la vita. Per la giustizia e per la pace planetaria.
Dottore in Scienze politiche e sociali, ha ricevuto la laurea honoris causa da otto università: Svezia, Danimarca, Belgio (x2), Canada, Francia (x2) e Argentina. Professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio); Presidente dell’Istituto europeo di ricerca sulla politica dell’acqua (IERPE) a Bruxelles. Presidente dell’Università del Bene Comune (UBC), un’associazione senza scopo di lucro ad Anversa (Belgio) , a Sezano (VR-Italia)., a Parigi (F). Dal 1970 al 1975 ha diretto il Centre Euripéen de Coordination de la Recherche en Sciences Sociales à Vienna (Autria) e dal 1975 al 1994 il dipartimento FAST, Forecasting and Assessment in Science and Technology presso la Commissione della Comunità Europea a Bruxelles. Nel 2005-2006 è stato Presidente dell’Acquedotto Pugliese (Italia). Ha fondato il Gruppo di Lisbona e il Comitato Internazionale per il Contratto Mondiale dell’Acqua. È autore di numerosi libri sull’economia e sui beni comuni.
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