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n. 11: Il nome alle cose

Cari amici,

tutto è cominciato quando l’uomo, nel giardino, ha dato il nome alle cose, Dare il nome alle cose è il primo passo per conoscerle, padroneggiarle, se del caso combatterle. Per questo si discute tanto se definire o no la Meloni fascista, e si insiste sulla litania dell’aggressore-aggredito. Ma nella divisione manichea del mondo, tanto cara all’Occidente, tra quelle che sono chiamate “democrazie” e le cosiddette “autocrazie”, dove collocare l’America di Trump che è eletto a furor di popolo ma sovverte le regole del potere, malmena i giudici, governa per decreti esecutivi e vuol conquistare la Groenlandia e il Canada?  E che  nome dare a Israele dove pure si vota, ma che si definisce come Stato etnico, esclusivo e confessionale?

Per trovare il nome appropriato  bisogna guardare agli indizi. Per gli Stati Uniti si può prendere per esempio una componente  identificante del regime trumpiano, che è la deportazione dei migranti presenti nel Paese e che per varie ragioni sono considerati illegittimi o delinquenti o comunque sgraditi. Per farlo Trump ha tirato in ballo la Alien Enemies Act, che è una legge sui nemici, risalente al 1798, forse mai applicata se non nella seconda guerra mondiale per internare e isolare i giapponesi residenti in America. I primi a farne le spese sono stati i venezuelani, 350.000 dei quali godono di uno statuto di protezione temporanea negli Stati Uniti dove sono arrivati per sottrarsi al regime di Chàvez. Centinaia di loro, definiti “stupratori, assassini e gangster”dalla portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, imbarcati su tre aerei, sono stati deportati in Salvador che ne ha ricavato 5.000 dollari l’uno e li ha imprigionati in un lager. Un giudice ha tentato di fermare gli aerei in volo e di farli rientrare ma l’ordine non è stato eseguito col pretesto che essi non si trovavano più nello spazio aereo degli Stati Uniti, e Trump ha definito quel magistrato “un giudice lunatico, di sinistra radicale,un agitatore e un provocatore”.

Ma, come ha scritto una giornalista che lavora in un’organizzazione per i diritti degli immigrati, Sonali  Kolhatkar, in un articolo diffuso in Italia dalla benemerita agenzia Other News di Roberto Savio, non si tratta solo dei venezuelani: chiunque può essere fatto sparire in qualsiasi momento. Il  governo sta prendendo di mira i cittadini americani di colore. Sta prendendo di mira gli accademici di colore che lavorano o studiano nel Paese con documenti validi, in particolare quelli che sono musulmani o cercano giustizia per la Palestina. Tutti a rischio di non essere graditi al potere. Ricordando la poesia “First They Came” di Martin Niemöller, si può dire che  “oggi l’amministrazione se la prende con venezuelani e palestinesi, domani potrebbe essere chiunque di noi. Tollerare la crudeltà anti-immigrati apre la porta a tutti noi di essere vittime di tale ferocia. Nessuno è immune”.

Un’altra notizia, ben più che un indizio, è che esiste uno stretto rapporto di collaborazione tra l’esercito israeliano e il Massachuttes Institute of Technology (MIT) di Boston, anche nel supporto alla guerra di Gaza. Come rivela un rapporto “Science for Genocide”,  pubblicato da un gruppo pro-palestinese interno all’Università, i laboratori del MIT dal 2015  hanno ricevuto 3,7 milioni di dollari di finanziamento da parte del Ministero della Difesa israeliano, destinati a progetti volti a sviluppare algoritmi che aiutino gli sciami di droni a inseguire meglio gli obiettivi in fuga, a migliorare la tecnologia di sorveglianza subacquea e a supportare gli aerei militari nell’elusione dei missili. Dal 7 ottobre 2023 due di queste sponsorizzazioni sono state rinnovate, mentre una è scaduta a dicembre 2024. Inoltre  il MIT mantiene collaborazioni istituzionali con aziende che vendono grandi quantità di armi a Israele. Tra queste figurano Elbit Systems, il maggiore appaltatore militare di Israele, nonché Maersk, Lockheed Martin e Caterpillar, collaborazioni che garantiscono ingenti profitti ai  complici del genocidio e un accesso privilegiato al talento e alle competenze del MIT. Quello di Israele, afferma il rapporto, “è l’unico esercito straniero a sponsorizzare la ricerca del MIT”. Come dicono gli studenti  il regolamento stesso del MIT  imporrebbe di rompere le collaborazioni con tali imprese se esistono “prove credibili che le loro attività contribuiscono alla soppressione dei diritti umani”. In risposta alla pubblicazione dei dati, il MIT ha bloccato l’accesso al sistema interno di gestione delle sponsorizzazioni.

Tutto ciò dimostra il coinvolgimento strutturale degli Stati Uniti nelle guerre di Israele, come c’è stato un coinvolgimento finora nella guerra d’Ucraina dove, come ha rivelato il New York Times, dalla base Usa di Wiesbaden, in Germania, i generali Mykhaylo Zabrodskyi e Christopher Donahue, dirigevano le azioni militari ucraine nel quadro di una operazione, chiamata “Task force Dragon”.

Molte altre cose si potrebbero citare per chiedersi in base a quale diritto, interno e internazionale, gli Stati Uniti fanno tutto questo, e se ciò li qualifichi  ad essere annoverati tra le democrazie o le autocrazie: un’attribuzione peraltro difficile anche per altri Paesi, a cominciare da Israele con la sua identità di Stato ebraico, di un solo popolo, senza Costituzione e con una capitale eterna, e la  pretesa di essere nelle sue condotte militari  “legibus solutus”.  E tutto ciò mentre la condanna della Le Pen in Francia accende in tutto il mondo il clamore sulle regole della democrazia. In America  la questione si complica perché da un’amministrazione all’altra gli Stati Uniti sembrano compiere anche le azioni più efferate ostentando una presunzione d’innocenza.  Perciò risulta difficile, ma non solo con Trump, collocarli simpliciter nelle “democrazie” o nelle “autocrazie”, la magica distinzione che rende l’Occidente così fiero di appartenere a queste ultime. Per chiarezza occorrerebbe allora dare agli Stati Uniti  un altro nome che corrisponda alla stessa coscienza che essi, e altri Stati simili a loro, hanno di sé. Questa coscienza è quella di essere al di sopra del bene e del male, di godere di una sorta di suprematismo bianco o anglosassone o messianico e religioso, di comportarsi nella presunzione che tutto sia loro concesso e tutto sia loro dovuto (e perché no la Groenlandia, Panama, le terre rare, la Palestina, Gaza?). Allora forse si dovrebbe dar loro  un nome nuovo: non democrazie e non autocrazie, ma autolatrie.  O piuttosto, poiché di se stessi fanno un idolo, e se lo adorano da soli, autoidolatrie.

Nel sito Prima Loro pubblichiamo un’analisi del professor Massimo Faggioli sui rapporti tra Trump e il Papa, un articolo sulle manifestazioni palestinesi contro Hamas a Gaza e sulla devastazione psicologica prodotta dalla guerra, e un articolo su Israele e l’ipotesi esclusa di Raniero La Valle pubblicato su “Il Fatto Quotidiano”. Eventuali firme da aggiungere ai mittenti della Lettera all’Europa possono essere comunicate all’indirizzo notizieda@primaloro.com

da “Prima Loro” (Raniero La Valle).

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